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sec. XVI

Natale Conti, Mythologiae (Edizione del 1567)

L. V Cap. XIII vv. 39-50 pg. 148a

“Ovidio nel III libro della Metamorfosi dice che fu educato prima dalla zia Ino e che poi fu affidato alle ninfe in questi versi: 313 etc. ;

 

“ Di nascosto nella prima infanzia la zia lo educa,

poi fu affidato alle ninfe di Nisa perchè lo educassero

nelle loro caverne e gli dessero latte e cibo ”.

 

Appiano nelle “Cinegetiche” scrive che Ino, Autonoe e Agave furono le nutrici di Dioniso, e ciò che lui dice noi lo abbiamo espresso così nel nostro libro <Venationum>”:

 

“A questo Ino porse il seno,

temendo la grande moglie di Giove altisonante

e temendo ugualmente il re Pentea Echionio

il quale, profano, contaminò con la violenza

le azioni del padre e per questo crimine pagò il fio”.

 

L. VI Cap IX vv. 1-14 pg. 181a

 

“Frisso, che si dice fu trasportato in Colchide dall’ariete col vello d’oro era figlio di Atamante e Nefele. Quando Atamante regnava su Tebe, sposa Nefele da cui ebbe Frisso ed Elle. Poi non so per quale causa, avendola ripudiata, Nefele scompare e prende Ino come seconda moglie, dalla quale ebbe Clearco, anche detto Learco e Palemone, anche conosciuto come Melicerta. Poichè Ino aveva in odio i figliastri, come abitudine delle matrigne, escogitò insidia verso Frisso ed Elle. Bruciò tutti i semi del frumento e degli altri legumi affinchè non germogliassero, poi persuase gli indovini, attraverso elargizioni affinchè annunciassero ad Atamante che i frutti non nascevano per quel motivo, per cui era necessario immolare agli dei uno dei figli di Nefele. Presa questa risposta, Atamante si dice che spinto da questa grande necessità decise che Frisso sarebbe stato ucciso presso gli altari, come dice Apollodoro grammatico nel I libro. Ma Nefele rapì Frisso ed Elle e diede loro un aureo ovino dorato avuto da Mercurio, col quale furono trasportati in aria (…)”.

 

IX vv. 34-42

 

“(…) in seguito Atamante portato alla follia per volontà di Giunone, per il fatto che per qualche tempo aveva educato come una fanciulla Dioniso, ricevuto da Mercurio, uccise il figlio Learco che aveva avuto da Ino: spaventata dall’accaduto Ino si gettò in mare con Melicerte. A causa di queste morti Atamante, recedendo dal comando e profugo dalla Beozia, consultò un oracolo e prese un responso secondo il quale avrebbe continuato a vagare come un profugo, fin quando si fosse imbattuto in luogo colmo di lupi che alla sua vista sarebbero divenuti mansueti; da quel momento sarebbe cessata la sua erranza e quel luogo avrebbe fondato Atamania(…)secondo la versione dell’ Atamante Sofocleo.

 

IX vv. 47- 51

 

“Nessuna condizione umana è infatti tanto salda e stabile che non possa precipitare a causa della imprudenza e temerarietà se così piace a Dio, e che è così chiaro anche dagli stessi nomi. Atamante infatti significa che non deve essere ammirato, poichè viene da <Thaumazasthai> ovvero essere ammirato, e questa azione verbale è negata dalla (suffisso di privazione).

 

L. VIII Cap IV vv. 22-48, pag. 240a; vv.1-10, pag. 240b.

 

“Anche Ino assieme al figlio Palemone fu creduta dagli antichi essere una protettrice dei naviganti e fu annoverata nella schiera degli Dei marini, costei, come dice Esiodo fu figlia di Cadmo e di quella Armonia per la quale le muse cantarono il canto nuziale:

 

“ a Cadmo, Armonia figlia della bella

Venere, generò Ino, Semele, Agave,

e Autonoe…”

 

In seguito Ino fu moglie di Atamante re dei Tebani e come è stato detto, perseguitò con singolare odio i figli di Nefele, come una matrigna, e avendo tostato i semi, per mezzo degli indovini fece intendere che fosse necessario sacrificare agli Dei uno dei figli di Nefele. Poi a causa dell’odio di Giunone contro tutti i tebani, poichè Bacco era nato lì, Atamante impazzì e uccise il figlio Learco che aveva avuto da Ino. Allora Ino preso Melicerta per paura di Atamante, si gettò nel mare più vicino. Ci furono alcuni che hanno detto che la pazzia sia stata mandata ad Ino poichè le sue figlie avrebbero cresciuto ed educato Dioniso. E Ninfodoro Siracosio nel libro sulla navigazione Asiatica scrisse che il delitto contro i figli fu compiuto non da Atamante, ma da una Ino invasata che uccise Learco e Melicerte: e che in seguito, presa da disperazione si sarebbe gettata per l’incapacità di sopportare il dolore in mare, per soffocare. Dorio nel libro dei pesci, scrive che Learco era stato trafitto da una freccia da Atamante e che Melicerte sia stato sgozzato da Ino e che dopo questo fatto, Ino si sarebbe gettata in mare. Altri dissero che Ino stesse fuggendo il furore di Atamante assieme al figlio Melicerte poichè Atamante aveva ucciso Learco buttandolo in un bacile d’acqua bollente. Fuggì dunque per il monte Gerania, il monte dei megaresi e dal promontorio della Moluride, come narra Pausania nel I libro Attica, si gettò in mare col figlio Melicerte, che è la credenza comune e come è chiaro da questi versi dal libro IV delle Metamorfosi di Ovidio: vv. 525-530:

 

“ Pende sul mare una rupe. La base è scavata dai

cavalloni e le onde vi si insinuano, al ripaao delle

piogge; la parte superiore si drizza salda e sporge

sul mare aperto. Ino vi sale di corsa (la pazzia le dà

forza), e senza esitare, senza alcuna paura, si getta

dall’alto in mare assieme al suo fardello. L’onda

all’urto schiumeggia ”.

 

Alcuni raccontano accadesse in quel tempo, che le Nereidi, conducessero una danza in quel luogo e che decidessero di danzare in onore di Melicerta, per ringraziarsi Sisifo. Non mancarono tuttavia coloro che ritenevano che il suo corpo fosse stato portato a Sisifo e che allora fossero stati istituiti i Giochi Istmici per lui. Ino in seguito fu chiamata Leucotea e considerata una Dea marina come dice Omero nel libro IV dell’Odissea: (che è in realtà il V, v. 333-335)

 

“ Davanti a costui la figlia di Cadmo, Ino bella caviglia,

la dea bianca, mortale un tempo dalla parola umana;

poi nella distesa del mare ebbe in sorte l’onore dei lumi”.

 

Costei in seguito fu chiamata Matuta dai latini poichè sorgeva di mattina, come dice Cicerone nel libro Tuscolane disputazioni; che sia l’Aurora è chiaro anche da Lucrezio nel libro V.

Cominciò ad esser chiamata Leucotea in un qualche villaggio non lontano dalla città Corone e allora fu considerata molto grande la sua potenza nel proteggere i naviganti e nel placare i mari, come dice Orfeo negli Inni:

 

“Chiamo Leucotea, Dea venerabile e molto potente

che un tempo nutrì Bacco bambino. Ascolta divinità

del mare che governi i marinai e le onde.

Gioisci fra i flutti Alma salvatrice degli uomini che tu

voglia che le navi sicure solchino i mari”.

 

Che fosse stato chiesto da Venere con preghiere a Nettuno che Ino divenisse Dea marina lo ha lasciato scritto Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi: vv. 531-542:

 

“ Ma Venere, addolorata per l’immeritata disgrazia della nipote,

così prega con dolcezza suo zio Nettuno: <Oh dio delle acque,

a cui è toccato il regno secondo per importanza a quello del

cielo, Nettuno, ti chiedo è vero un grande favore, ma abbi

compassione dei miei cari che in questo momento, vedi, sono

sbattuti sull’immenso Ionio, e aggiungili al numrero degli Dei

marini. Anch’io conto qualcosa nel mare, se è vero che un giorno

fui una concrezione di spuma nelle sue divine profondità, tanto

che ho preso dalla sua spuma il mio nome greco. Nettuno esaudisce

la preghiera: toglie loro ciò che hanno di mortale, li riveste di una

veneranda maestà, e insieme all’aspetto rinnova loro anche i nomi

chiamando Leucotea la madre e Dio Palemone il figlio ”.

Ha scritto un libro sull’Attica Pausania che Melicerte fosse stato rapito da un delfino quando era caduto dalla rupe Moluride e portato nell’Istmo di Corinto, avendo cambiato nome, fosse chiamato Palemone e che fra gli altri onori, la pietra Moluride gli fosse stata consacrata e che gli fosse stata consacrata e che fossero stati istituiti per lui i giochi Istmici da Sisifo, figlio di Eolo che allora imperava a Corinto dal momento che Melicerte era figlio del fratello(…)

 

Cap. IV vv. 18–48, pag. 240b; vv. 1-3, pag. 241a.

 

(…).In seguito anche Palemone fu ritenuto fra gli dei marini come dice Orfeo negli Inni:

 

“ Tè chiamo che abiti i flutti e il mare oh Palemone,

vieni a mensa assieme a Bacco, vieni benigno ai tuoi riti

e con lieto aspetto, dagli alti flutti del mare, proteggi

i tuoi fedeli sulla terra e sul mare. Sei solito strappare

alle navi che vagano per il mare, salvarli dalle tempeste,

con queste cose ti manifesti. Tu solo infatti giovi ai

miseri mortali tu metti a freno le ire del tumido mare”.

 

Così anche Euripide in Efigenia in Tauride chiama Palemone custode dei naviganti:

 

“ Figlio della dea marina Leucotea,

Palemone custode dei naviganti(…).”

 

Palemone fu anche chiamato Portuno che era rappresentato portando nella mano destra la chiave, poichè difendeva il porto dai nemici. Si era soliti sacrificare a lui un bambino ed era adorato nell’Ade con i massimi onori. Costui fu sepolto sull’Istmo, come dice Pausania nel I libro dell’Attica e Ino fu sepolta nella parte della terra dei Megaresi da Celso e Tauropoli, figlie di Cleofone e nipoti di Lelegi.

 

vv. 3–40, pag. 241b.

 

Il fatto che Ino fu figlia di Cadmo e di Armonia e moglie di Atamante non differisce da quella che è la storia e anche il fatto che il figlio fu scagliato sulla pietra e anche che Ino per timore o pazzia si gettò in mare col figlio. Ma il fatto che lei e il figlio Melicerte siano stati tramutati in divinità non ha niente a che vedere col vero. Ma cosa hanno voluto significare con questo gli antichi? Si è detto sopra che tanta fu l’ambizione di alcuni degli antichi principi che instituirono altari, sacerdoti, cerimonie, per alcuni dei loro antenati come se fossero degli dei immortali. Così Sisifo trasformò gli Istmici, che prima si celebravano in onore di Nettuno, in onore dei suoi parenti, poichè si diceva che Nettuno avesse dato a questi il comando sulle acque, e da qui furono ritenute divinità marine. Infatti anche presso i Romani, secondo l’uso greco, furono istituiti i Ludi funerali e anche loro raccontavano che i loro Principi erano riportati (post-mortem) fra gli dei. Infatti come accade presso quasi tutti i Principi della nostra età, tranne pochi in cui l’avarizia, che è il vizio peggiore di tutti, governa l’animo, così l’ambizione occupava la mente degli antichi. Leucotea che dai latini è detta Matuta è l’Aurora; Palemone o Portuno è la forza delle tempeste, infatti pallo significa agitare da cui è detto Palemone. Fu detto figlio di Matuta perchè i venti per lo più cominciano a soffiare dall’aurora; e dal momento che i venti si precipitano sul mare si disse che lui si era gettato in mare. Questi furono creduti divinità dei naviganti, poichè i venti sono i custodi dei naviganti, venti che se soffiano benigni, un viaggio felice spetta alle navi; e per questo Virgilio nel Libro II delle Georgiche dice:

 

“Marinai salvi pregarono sulla spiaggia

Glauco, Panopea, Ino, Melicerta”

 

Per questa favola dunque hanno voluto dire che, quelli che navigano per mare, si affidano alla mutevolezza dei venti, poichè non bisogna lamentarsi della divina clemenza se accade qualcosa di male, ma della nostra imprudenza e leggerezza. Questa favola è adatta anche per placare le tempeste dello spirito e per esortare alla beneficenza e alla generosità: infatti come Ino fu così sconvolta da Giunone perchè aveva educato generosamente padre Libero, poi in seguito la vicenda si concluse in grande felicità. Infatti anche se gli uomini buoni talvolta sono oppressi (tormentati) per il bene che fanno e soffrono sventure domestiche, tuttavia, nessun uomo buono può essere infelice a lungo. Infatti quale sventura può essere così grande, quale infortunio così grande che la divina clemenza non possa trasformarla in una felicità più grande? Così gli antichi tramandavano che bisognasse confidare nella divina bontà perchè nessun uomo giusto è lasciato solo da Dio e poichè tanta la divina clemenza da superare anche la speranza dei mortali ai quali porta aiuto, che soffrono miserie ingiuste.