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430-355 a.C.

SENOFONTE, Memorabili, IV, 2, 33-35

“Secondo questo discorso, veramente, mi pare proprio di no, per Zeus! Ma la sapienza, almeno, o Socrate, è un bene senza discussione: quali imprese non condurrebbe meglio un sapiente di un ignorante?” “E che?” replicò Socrate “Non hai sentito parlare di Dedalo che, catturato da Minosse per la sua sapienza, fu da lui obbligato a servirlo e al quale furono tolte la patria e la libertà e che, cercando di scappare insieme al figlio, perse il ragazzo e lui stesso non poté salvarsi, ma trascinato fino ai barbari di nuovo fu schiavo là?” “Si racconta così, per Zeus” riconobbe. “E le disavventure di Palamede non le hai sentite? Tutti invero cantano di lui, di come rovinò per aver suscitato l’invidia di Odisseo con la sua saggezza.” “Si racconta anche questo” rispose. “E quanti altri immagini che per la loro saggezza furono condotti a forza del gran re e là servirono come schiavi?” [34] “Forse,” disse “o Socrate, è possibile che il bene meno ambiguo sia la felicità.” “Se però uno non la faccia risultare da un insieme di beni controversi, o Eutidemo” rispose. “E che cosa fra i componenti della felicità sarebbe controverso?” domandò. “Niente.” Rispose “A meno che non vi aggiungiamo bellezza, forza, ricchezza, gloria e qualcun altro bene del genere.” “Ma per Zeus, ce li aggiungeremo.” Ribattè “Come potrebbe, infatti, un uomo essere felice senza di loro?” “Per Zeus, allora vi aggiungeremo le fonti di parecchi fastidi per gli uomini; molti, per la loro bellezza, sono rovinati da quelli che perdono la testa davanti ai belli, molti, poi, a causa della loro forza, intraprendono imprese troppo grandi e incappano in non piccoli guai, molti rovinano infiacchiti dalla ricchezza, vittime di insidie, molti subiscono grandi sventure per la celebrità e il potere politico.”