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Leone Ebreo, Dialoghi d’amore, Roma, M. Lenzi, 1535 (ed. a cura di S. Caramella, Bari 1929), II (pp. 141-144)

 

[…]

Filone: Il poema è che vantandosi Apollo in presenzia di Cupido de la virtù del suo arco e de le sue saette, con le quali avea ucciso Pitone venesossimo serpente, pareva quasi che non stimasse la forza de l’arco e de le saette di Cupido, come armi fanciullesche inatte a così terribili colpi; di che sdegnato Cupido feri Apollo d’una saetta d’oro, e a Dafne fece aggravare l’amore d’Apollo come aggrava il piombo, e che fuggiva continuamente. Ma vedendosi Dafne seguitare e quasi giunta da Apollo, domandò soccorso a suo padre Peneo e agli fiumi, i quali per camaprla da lui la convertirono in lauro: e trovandola Apollo così fatta lauro, pur l’abbracciava ed ella tremava di paura; finalmente Apollo pigliò de le sue frondi e ornò di quella la sua cetara e la sua faretra e il lauro appropriò a sé per suo arbore, di che Dafne rimase contenta di lui.

Sofia: La favola è bella; ma che significa?

Filone: Vogliono mostrare quanto è grande e universale la forza de l’amore fino nel più altiero e potente dio di tutti i celesti, che è il sole; onde galantemente fingono che egli si vantasse che col suo arco e le sue saette, che sono i suoi caldissimi raggi, uccidessi l’orribil serpente Pitone; che ogni cosa struggeva; la qual cosa, come t’ho detto, significa l’acquosità del diluvio, che restò sparsa su tutta la terra e proibiva la generazione e nutrizione degli uomini e di tutti gli altri animali terrestri, la qual acquosità il Sole con li suoi ardenti e saettanti raggi disseccò, e donò l’essere a quegli che viveno sopra la terra. E, perché tu sappi, o Sofia, quale è l’arco d’Apolline precisamente, oltra il corso suo e la circunferenza solare, con la quale egli levò il danno del diluvio e ne assicurò del crudel Pitone, ti dirò che è quel vero arco di molti colori, che si rappresenta ne l’aere a l’incontro del sole quando il tempo è umido e piovoso, il quale arco li greci chiamano “iris”. E significa quello che narra la sacra Scrittura nel Genesi, che, passato il diluvio, restando degli uomini solamente Noé, uomo giusto, con tre suoi figliuoli, il quale si salvò in un’arca natante, con un maschio ed una femmina di ciascuna spezie d’animali terrestri, Dio l’assicurò che non procederebbe più innanzi il diluvio, e gli donò per segno quello arco iris, che si genera nelle nuvole quando è piovuto, il qual dà fermezza che non si può fare più diluvio. E, conciòsiaché questo arco si generi della raziazione de la circunferenza del sole ne le nuvole umide e grosse, e che la differenzia de la loro grossezza faccia la diversità de’suoi colori, secondo la deformità de l’apprensione de le nuvole, séguita che l’arco del sole è quello che fu per ordine di Dio la fermezza e la sicurtà di non aver a essere più diluvio.

Sofia: A che modo il sole col suo arco ne dà tal sicurtà?

Filone: Il sole non s’imprime, quando fa l’arco, ne l’aere sottile e sereno, ma nel grosso umido, il quale, se fosse di spessa grossezza, sufficiente a poter fare il diluvio per moltitudine di piogge, non sarebbe capace di ricevere l’impressione del sole e fare l’arco; e perciò l’apparizione di questa impressione e arco ne assicura che le nuvole non hanno grossezza di poter fare il diluvio. Questa è la fermezza e la sicurtà che l’arco ne dà del diluvio, de la qual cosa n’è causa la forza del sole, che purifica talmente le nuvole e l’assottiglia in modo che, imprimendo in quelle la sua circunferenza, le fa insufficienti a poter far diluvio. Onde con ragione e prudenzia hanno detto che Apollo amazzò Pitone col suo arco e con le sue saette, per la qual opera essendone Apollo superbo e altiero, secondo che è la natura solare, non però si poté liberare dal colpo de l’arco e saetta di Cupido, perché Apollo amò Dafne, figliuola di Peneo fiume, che è l’umidità naturale de laterra, la quale viene da’ i fiumi che passano per quella. Questa umidità ama il sole; e mandando in essa i suoi ardenti raggi, procura di attraerla a sé, esalandola in vapori. E potrebbesi dire che ’l fine di tale esalazione fusse il nutrimento de’ celesti, perché i poeti tengono che essi si nutrischino de’ vapori, che ascendono da l’umidità del globo de la terra; ma, conciosiaché questo sia ancora metaforico, s’intende che si mantenga massimamente il sole e i pianeti nel suo proprio uffizio, che è di governare e sostenere il mondo inferiore, e consseguentemente il tutto de l’universo, mediante l’esalazione degli umidi vapori. E perciò ama l’umidità per convertirla a sé nel suo, ma ella fugge dal sole perché ogni cosa fugge da chi lo consuma; ancora perché i raggi solari fanno penetrare l’umidità per li pori de la terra e la fanno fuggire da la superfice, e perciò il sole la risolve: e quando è già dentro de la terra e che non può fuggire dal sole, si converte in arbori e in piante, con aiuto e influenzia degli déi celesti generatori de le cose e con aiuto de li fiumi, che la ristorano e soccorrono da la persecuzione e comprensione del sole. Dicono, secondo la fabula, che si convertì in lauro, perché il lauro, per essere arbore eccellente, diuturno, sempre verde, odorifero e caldo ne la sua generazione, si manifesta più in lui che in niun altro arbore il mescolamento dei raggi solari con l’umido terrreno. Dicono che fu figliuola di Peneo fiume, perché il terreno dove passa genera di molti lauri. Dicono che Apollo ornò de le sue frondi la sua cetera e la sua faretra, significando che i chiari poeti, che sono la cetera d’Apollo, e li vittoriosi capitani e i regnanti imperatori, che sono la faretra del sole (il quale propriamente dà le chiare fame, le potenti vittorie e gli eccelsi trionfi), solamente sono quegli che si sogliono incoronare di lauro in segno di eterno onore e di gloriosa fama; che, si come il lauro dura assai, così il nome de’ sapienti e de’ vittoriosi è immortale; e si come il lauro sempre è verde, così la fama di questi è sempre giovane né mai s’invecchia né secca; e si come il lauro è caldo e odorifero, così gli animi caldi di questi dànno suavissimo odore ne’ luoghi distanti, da una parte del mondo a l’altra. Onde questo arbore si chiama lauro per essere fra gli arbori come l’oro fa i metalli; ancora perché si scrive che gli antichi li nominavano laudo per le sue lode, e perché de le sue foglie s’incoronavano quegli che eran degni di eterne lode: per il che questo è quello arbore che s’appropria al sole, e dicono che nol può ferire saetta del cielo, però che la fama delle virtù il tempo non la può difare, né ancora i movimenti e le mutationi celesti, le quali ogni altra cosa di questo mondo inferiore saettono con inveterazione, corruzione e oblivione.

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